FAQ


Dimensionamento Fusibili
Come funziona un Relè

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIMENSIONAMENTO FUSIBILI

Attenzione: non è un trattato né tanto meno una lezione... sono solo concetti scritti un po' disordinatamente ma sufficienti a far comprendere un minimo di teoria sui fusibili.

PARTE 1


I fusibili sono dispositivi di protezione con caratteristica d'intervento a tempo inverso. In altre parole, il tempo di intervento di un fusibile diminuisce se la sovracorrente che si sviluppa in un circuito guasto (o
sovraccaricato) aumenta.

Parlando di sovracorrenti è necessario distinguere le stesse in due categorie: cortocircuito e sovraccarico. Il primo si verifica quando due elementi attivi di un circuito vengono in contatto fra di loro in modo franco, cioè con una connessione reciproca che presenta una bassissima resistenza. Il sovraccarico si ha quando un'utenza, spesso un motore, è chiamata a compiere un lavoro straordinario per il quale necessiterebbe di una maggiore energia che in realtà non è in grado di convertire. In quel
caso l'utenza assorbe più corrente di quella che i suoi componenti interni possono sopportare e generalmente, dopo qualche tempo, si guasta. E' il caso di molti verricelli...

Rispetto alla corrente assorbita nominalmente da un'utenza si parla di cortocircuito quando la corrente di guasto circolante è pari almeno al doppio/triplo della corrente nominale (nella pratica spesso molto di più). Si intende per sovraccarico una corrente superiore alla nominale di alcuni punti percentuali (anche decine di punti percentuali). Ad esempio: se in un circuito con una nominale di 10 A misuro in condizioni di guasto 150 A, si tratta sicuramente di cortocircuito. Se rilevo 11,6 A si tratta di sovraccarico.

Nel caso degli impianti automobilistici, la corrente di guasto circolante in caso di cortocircuito equivale alla corrente che circolerebbe congiungendo i poli negativo e positivo della batteria (non fatelo!) dedotte le perdite sui cavi e sulle giunzioni.

La corrente di cortocircuito generata dalla batteria (nell'ordine di parecchie centinaia di ampére, sostanzialmente equivalente alla corrente di spunto) aumenta in funzione della diminuzione della resistenza interna della batteria stessa. La resistenza interna della batteria è generalmente tanto più bassa quanto più alta è la sua capacità. In ogni caso dipende dalle caratteristiche costruttive degli elementi costituenti l'accumulatore. Tanto per capirci, a parità di capacità, una batteria per avviamento ha generalmente una resistenza interna più bassa di quella di una batteria perl'alimentazione di servizi in regime di scarica lenta.

Analizzando un qualunque circuito terminale di un impianto automotive e risalendo alla sorgente d'alimentazione, ovvero la batteria, incontreremo un certo numero di elementi. Per esempio si potrebbe cominciare con la morsettiera del portalampada di un proiettore, dopo seguirebbe qualche metro di cavo di piccola sezione, dopo incontreremmo un connettore di servizio (necessario ad esempio per disassemblare gli elementi della carrozzeria), quindi nuovamente cavo elettrico, dopo lo zoccolo di un relè, il relè stesso, di nuovo cavo, poi un fusibile di basso calibro, ancora cavo ma di sezione più elevata, un fusibile di elevato calibro e, probabilmente, giungeremo finalmente alla batteria con un cavo di grande sezione.

Questo insieme di conduttori e giunzioni introduce una resistenza, ovvero si oppone in certa misura al passaggio della corrente elettrica generando perdite in calore. Attenzione anche al percorso di massa (polo negativo) anch'esso ha la sua importanza e introduce una resistenza nel circuito.

La corrente di guasto, ovvero per convenzione la corrente che circola nei conduttori in caso di cortocircuito, è molto elevata in prossimità della batteria ma diminuisce man mano che ci si "allontana" dalla stessa per effetto della resistenza introdotta dagli elementi di cui sopra. Notare che qualunque elemento elettrico introduce una resistenza, seppur piccola.

Nel dimensionamento di un circuito si presta molta attenzione a mantenere tali resistenze il più basse possibile per evitare inutili sprechi d'energia e cadute di tensione troppo elevate le quali potrebbero causare il malfunzionamento od il basso rendimento di un'utenza. Al di là dei problemi di tensione, è anche necessario verificare che la corrente di guasto presente in un circuito in caso di cortocircuito, sia sufficiente a provocare l'intervento dei dispositivi di protezione.

Come accennavo prima, i fusibili hanno una caratteristica di intervento inversa. Analizzando questo concetto da un altro punto di vista, è lecito affermare che in caso di correnti di guasto molto basse il fusibile potrebbe non intervenire tempestivamente e mantenere alimentata un'utenza in condizioni di guasto, spesso peggiorando le cose. Ecco perché nella mia precedente mail affermavo che i fusibili sono poco idonei alla protezione contro i sovraccarichi.

La ragione di questo comportamento è da ricercare nella tecnologia costruttiva dei fusibili. Il fusibile è sostanzialmente costituito da uno spezzone di conduttore calibrato in grado di sopportare permanentemente il passaggio di una certa corrente. Se la corrente aumenta il fusibile si scalda poiché la sezione dello spezzone di conduttore calibrato non è in grado di veicolare un flusso maggiore. Man mano che sale la temperatura si raggiunge il punto di rammollimento o di fusione del metallo costituente il
fusibile e lo stesso si interrompe disalimentando il circuito. L'interruzione può avvenire per deformazione del metallo il quale si distacca da uno dei due punti ancoraggio o per vera e propria distruzione dello stesso.

Considerato che anche i fusibili introducono una resistenza elettrica e quindi generano calore, il costruttore cerca il miglior compromesso fra bassa dissipazione termica ed un'elevata prestazione d'intervento. Ciò nonostante, è molto difficile ottenere buone prestazioni per basse sovracorrenti. Una grande sovracorrente, ovvero un cortocircuito, genera un'elevata sovratemperatura sul fusibile distruggendolo nel giro di qualche millisecondo. Un sovraccarico di bassa entità riscalda il fusibile molto
lentamente provocandone la distruzione anche dopo alcune ore.

Nella pratica mi è capitato di osservare un classico fusibile automotive da 10 A (rosso) attraversato da una corrente di 13,5-14 A. Lo stesso è intervenuto dopo più di un'ora dall'insorgere del sovraccarico. Se quella corrente fosse stata richiesta da un motore elettrico sovraccaricato, lo stesso sarebbe passato a miglior vita ben prima di un'ora e il fusibile sarebbe rimasto bello integro, magari un po' deformato ma ancora in grado di funzionare! Aggiungo che nel caso del sovraccarico influisce molto la temperatura ambiente. Nel caso del cortocircuito è praticamente ininfluente.

Quanto sopra spiega per quale ragione io adotti un fusibile da 125 A per la protezione contro il
sovraccarico del mio WARN XD9000 in grado di assorbirne anche 350!

PARTE 2

La scelta di un fusibile per la protezione di un circuito elettrico deve essere adeguatamente ponderata. Vediamo quali sono gli aspetti di cui bisogna tenere conto facendo un passo indietro.

Prima di parlare di protezioni ed ancor prima di considerare i conduttori è necessario valutare le caratteristiche del carico che è necessario alimentare. Tralasciamo la tensione e la natura della corrente; questi parametri, nel caso delle nostre Land Rover, presentano valori predefiniti: 12 V in corrente continua. E' innanzitutto necessario verificare la potenza dell'utenza da alimentare.

La potenza elettrica in un circuito in corrente continua è definita dalla semplice relazione P = U*I, dove P è la potenza espressa in watt (W), U la tensione espressa in volt (V) e I la corrente espressa in ampére. In realtà a noi interessa manipolare valori di corrente, pertanto, conoscendo la potenza assorbita da un'apparecchiatura si ricorre alla relazione I = P/V.

Attenzione: la potenza di cui stiamo parlando non è la potenza resa da un'apparecchiatura (per esempio un motore od una lampadina) ma la potenza assorbita dalla linea d'alimentazione. La potenza resa è sempre minore della potenza assorbita in quanto entra in gioco un altro parametro: il rendimento dell'utenza. Il rendimento può essere espresso come coefficiente o percentuale. Ai fini di questa minuscola trattazione ci basti sapere che si considera accettabile un rendimento compreso tra 85 e 95%. La differenza necessaria per giungere il 100% è ovviamente persa in calore.

Una volta conosciuto il valore di corrente assorbita dalla nostra utenza si procede con il dimensionamento della conduttura d'alimentazione. In altre parole è necessario scegliere un cavo di sezione sufficiente a trasportare l'energia richiesta con affidabilità, introducendo un valore di perdite minimo.

Nel caso degli impianti in corrente continua a bassa tensione è sempre meglio iniziare il dimensionamento valutando la caduta di tensione introdotta dal conduttore (per gli impianti a tensione industriale l'approccio potrebbe essere differente).

La caduta di tensione si calcola utilizzando la solita legge di Ohm. Per applicare la nota relazione dobbiamo conoscere il valore di resistenza del conduttore. Ponendo di utilizzare conduttori in rame (c'è qualcuno che si diletta con alluminio, leghe di nichel o argento?!), il valore di resistività del simpatico metallo alla temperatura di 0°C è pari a 0,016 ohm*mm2/m e si indica con la lettera greca ro seguita da 0 che indica la temperatura di riferimento. Praticamente ro con 0 pedice.

Questo valore serve ancora a poco perché la nostra Land Rover deve essere in grado di operare con temperature ambiente di almeno 45° e dobbiamo considerare anche il riscaldamento indotto dal motore (magari il cavo passa lì vicino)... quindi è meglio calcolare quale sia la resistività del rame ad una temperatura vicina alla realtà. Ipotizzerei t pari almeno a 60°C, tanto per essere dalla parte della ragione.

Il coefficiente di temperatura del rame è pari a 0,0042 e si indica con alfa. La resistività ad una certa temperatura (indicata con ro seguito da t pedice) si calcola con questa relazione: rot = ro0*[1+(alfa*t)]. Nel nostro esempio otteniamo rot = 0,016*[1+(0,0042*60)] = 0,020 ohm*mm2/m.

Ora disponiamo del coefficiente di resistività del rame a 60°C. La relazione per il calcolo della caduta di tensione è semplice: deltaU = (rot*l*2*I)/s dove deltaU è la caduta di tensione, rot sapete già cos'è, l è la lunghezza espressa in m della linea, 2 è un moltiplicatore che serve per calcolare l'effettiva lunghezza del circuito (misura di lunghezza del cavo positivo + misura di lunghezza del cavo negativo, supponendo che seguano lo stesso percorso), I è la corrente assorbita dall'utenza, s è la sezione espressa in millimetri quadrati del cavo.

Ci viene meglio "ribaltare" la formula per ottenere direttamente la sezione del cavo da utilizzare... in realtà è quello che stiamo cercando! Quindi si ottiene: s = (rot*l*2*I)/deltaU. Mi chiederete: che valore deve avere deltaU? Se consideriamo che la tensione di una batteria carica è pari a circa 13,6 V e quella di una batteria scarica è pari a 11,4 V, io riterrei che sia cautelativo considerare di ottenere una caduta di tensione non superiore a 0,6 V. Si tratta di un 5% della tensione nominale di batteria, cioè 12 V.

Facciamo un esempio pratico, in modo da ricapitolare quanto fin qui esposto. Devo installare un frigorifero sul mio D90. Il frighetto assorbe 135 W a 12 V. Calcolo la corrente: I = P/V = 135/12 = 11,25 A. Scelgo il cavo imponendomi una caduta di tensione di 0,6 V sapendo che la linea bipolare di collegamento fra frigo e batteria è lunga 3 m: s = (rot*l*2*I)/deltaU = (0,020*3*2*11,25)/0,6 = 2,25 mm2. La sezione di 2,25 mm2 in commercio non esiste, perciò decido di utilizzare comuni conduttori di sezione pari a 2,5 mm2.

Siccome sono pignolo, voglio vedere di quanto migliora la situazione c.d.t. utilizzando il cavo che sono riuscito a reperire in commercio: deltaU = (rot*l*2*I)/s = (0,020*3*2*11,25)/2,5 = 0,54 V. Sessanta millivolt guadagnati sono meglio che niente! Potrei anche decidere che il mio cavo non sarà mai esercito al di sopra dei 45°C e quindi potrei ricalcolare il rot... lascio che vi divertiate un po' con i numeri!

Piccola parentesi: la relazione per calcolare la caduta di tensione è fondamentale per dimensionare correttamente la linea di alimentazione di un verricello. Provate a calcolare la c.d.t. della linea originale Warn o Superwinch che è pari a circa 35 mm2 con un rot equivalente a soli 35°C. Avrete una brutta sorpresa e capirete perché il verricello non riusciva a recuperare un Suzukino in condizioni di basso attrito... ;-) In realtà io penso che i costruttori di winch usino linee piccole per proteggere i loro motori: grande resistenza = enorme caduta di tensione = limitazione dell'energia sul motore = salvezza del verricello in caso di utilizzo inclemente!

PARTE 3

Per proteggere il cavo contro gli effetti delle sovracorrenti è possibile utilizzare un fusibile oppure un interruttore automatico magnetotermico. Quest'ultimo dispositivo di protezione presenta il grande vantaggio di essere quasi sempre ripristinabile dopo il suo intervento, senza che sia necessario sostituire alcuna parte. Al contrario, il fusibile si "sacrifica" per proteggere il nostro impianto e dopo aver svolto il suo nobile lavoro dovrà necessariamente essere sostituito. Dal momento che ci riferiamo principalmente agli impianti automobilistici, prenderò in considerazione solo il caso del fusibile.

Aggiungo che i fusibili di cui stiamo parlando (i soliti a lama), oltre ad essere facilmente reperibili, sono anche molto economici. Il loro costo, comprendendo anche il necessario portafusibile, non è paragonabile a quello di un interruttore automatico.  

Per eseguire il corretto dimensionamento di un fusibile ai fini di ottenere la protezione del cavo contro le sovracorrenti di debole entità (sovraccarichi - più avanti parleremo anche del caso del cortocircuito) è necessario conoscere almeno due variabili:

- la corrente d'impiego del circuito indicata con Ib;
- la portata di corrente massima del cavo utilizzato indicata con Iz.

Il valore Ib è già noto in quanto rappresenta la corrente assorbita dall'utenza che dobbiamo alimentare (abbiamo utilizzato quel valore nel calcolo della caduta di tensione).

Iz corrisponde al valore massimo di corrente che può fluire all'interno di un cavo ad una certa temperatura ambiente ed in determinate condizioni di posa.

Qualunque conduttore oppone una certa resistenza al passaggio della corrente dissipando una parte dell'energia fluente in esso in calore (effetto Joule). E' importante che la temperatura del conduttore non superi il valore massimo sopportabile dal rivestimento isolante del conduttore stesso. Anche le condizioni di posa influiscono sulla temperatura di esercizio: un conduttore teso in aria si raffredderà più efficacemente di un conduttore posato all'interno di un tubo. In un fascio di cavi, il conduttore centrale si surriscalderà maggiormente rispetto ai conduttori periferici. Non da ultima, come al solito, la temperatura ambiente influirà notevolmente sulla determinazione della portata Iz di un cavo. 

In commercio esistono molti tipi di cavo, differenziati per lo più dalla natura dell'isolante: in PVC, in gomma a base di neoprene, in gomma butilica, in gomma siliconica, in teflon, con isolamento a base minerale e via discorrendo. Il cavo normalmente impiegato negli impianti automotive (e anche negli impianti elettrici civili) è quello con isolante in PVC. E' economico e facilmente reperibile. La maggiore pecca è legata al fatto che il suo isolante può sopportare una temperatura massima di circa 70°C. Oltre tale limite l'isolante rammollisce deformandosi. Il deterioramento è spesso irreversibile e rende il cavo pericoloso.

Chiarito il concetto di massima temperatura dell'isolante, occorrerebbe ora calcolare la portata di un conduttore considerando la sovratemperatura raggiunta per effetto della sua resistenza deducendo la quantità di energia termica ceduta all'ambiente quando lo stesso è attraversato da una certa corrente... interessante ma troppo complesso per questa trattazione!
;-)

Nell'intento di rimanere pratici è meglio affidarsi a qualche tabella e ad una semplice relazione: Iz = Iz0 * k1 * k2 dove Iz0 è la portata di un cavo alla temperatura ambiente di 30°C (generalmente per posa entro un tubo o guaina), k1 è il coefficiente di riduzione per temperature maggiori di 30°C, k2 è il coefficiente di riduzione per cavi installati in fascio o strati multipli.

Fornisco qualche valore utile per eseguire i calcoli (dati validi per cavi in PVC, desunti dalle tabelle CEI/UNEL).

sezione        Iz0

  1,5 mm2       17,5 A
  2,5 mm2       24   A
  4   mm2       32   A
  6   mm2       41   A
10   mm2       57   A
16   mm2       76   A
25   mm2      101   A
35   mm2      125   A
50   mm2      151   A
70   mm2      192   A
95   mm2      232   A
120   mm2      269   A
150   mm2      309   A 

temperatura    k1

35 °C          0,94 
40 °C          0,87 
45 °C          0,79
50 °C          0,71
55 °C          0,61
60 °C          0,50

numero cavi    k2

2              0,80
3              0,70
4              0,65
5              0,60
6              0,57
7              0,54
8              0,52
9              0,50

La verifica procede controllando innanzitutto che la portata massima del conduttore Iz sia maggiore o almeno uguale alla corrente Ib assorbita dell'utenza. Quindi Iz > Ib.

Quindi si sceglie il fusibile adottando questa relazione: Ib < In < 0,9*Iz dove In è la corrente nominale del fusibile e 0,9 è un coefficiente che tiene conto della caratteristica d'intervento del fusibile che, come già detto, è mediocre nel caso delle sovracorrenti di bassa entità e ottima nel caso delle sovracorrenti di elevata entità (cortocircuiti).


A questo punto è d'obbligo il solito esempio pratico che vale più di mille parole. Proviamo a dimensionare la linea d'alimentazione ed il fusibile di protezione di un compressore d'aria che presenta le seguenti caratteristiche:

- tensione 12 V;
- potenza resa 650 W;
- rendimento 0,82 (si indica con la lettera greca eta).


Le condizioni di installazione sono le seguenti:

- lunghezza linea 2,3 m;
- temperatura ambiente 35°C.


Ci si impone di non superare una caduta di tensione pari al 2% della tensione nominale d'alimentazione ovvero 0,24 V.


Calcoliamo innanzitutto la corrente Ib assorbita dal compressore:

Ib = (P/eta)/Un = (650/0,82)/12 = 66 A


Ora calcoliamo il valore della resistività del nostro cavo di rame alla temperatura di 35 °C:

rot = 0,016*[1+(0,0042*35)] = 0,018 ohm*mm2/m.


Quindi dimensioniamo la linea di alimentazione con il metodo della verifica della caduta di tensione:

s = (rot*l*2*I)/deltaU = (0,018*2,3*2*66)/0,24 = 22,8 mm2 

Il valore ottenuto viene arrotondato a 25 mm2, prima sezione commerciale disponibile.


Verifichiamo la portata Iz del cavo considerando che lo stesso è posato all'interno di una guaina dedicata e quindi, non essendoci altri circuiti adiacenti, non è necessario includere il coefficiente k2 nel calcolo:

Iz = Iz0*k1 = 101*0,94 = 94,9 A

Osservate come la portata di corrente nominale del cavo subisca un declassamento del 10% per un aumento della temperatura ambiente di 5°C.


A questo punto scegliamo un fusibile di protezione di corrente nominale In pari a 80 A. Si tratta del primo valore commercialmente disponibile che presenti una corrente superiore a quella del nostro compressore (66 A). Vediamo se il fusibile scelto protegge il cavo:

In < 0,9*Iz = 80 < (0,9*94,9) = 80 < 85,4 A

Il cavo sopporta 85,4 A a 35°C, quindi risulta protetto da un fusibile di In pari a 80 A.


E' appena il caso di farvi notare che se la temperatura ambiente fosse stata un poco più elevata si sarebbe dovuto adottare un cavo da 35 mm2.

Il metodo di calcolo sopra indicato è quello "scolastico", semplificato e ridondante. In altre parole, un cavo dimensionato e protetto in quel modo con buona probabilità sopravviverà alla stessa Land Rover! Sono i calcoli che si fanno quando si dimensiona un cavo destinato ad un impianto che deve lavorare a pieno carico per 24 ore al giorno, 365 giorni all'anno, per almeno 25 anni (per il funzionamento intermittente si fanno altri ragionamenti). Insomma, se adottate questo metodo avrete la certezza di essere dalla parte della ragione. In ogni caso l'irrisorio costo del cavo elettrico isolato in PVC non giustifica la scelta di sezioni nominali insufficienti. 

Un approccio tecnicamente corretto al problema della riduzione delle sezioni dei cavi - con vantaggi in termini di peso, ingombro e migliore lavorabilità dei cavi stessi - è la scelta di conduttori isolati con materiali pregiati. Un cavo isolato in gomma butilica sopporta temperature di esercizio quasi doppie rispetto al PVC. Un cavo isolato in gomma siliconica va anche oltre. Se al silicone si aggiunge la fibra di vetro otteniamo cavi in grado di operare oltre i 200°C. Attenzione però: siamo sicuri che ciò che si trova intorno ai cavi sopporta tali temperature?!

Francesco Mazzitelli

 

COME FUNZIONA UN RELE'

Credo che tutti conoscano il principio di funzionamento di un interruttore elettrico. Come suggerisce il termine stesso, l'interruttore è un dispositivo in grado di interrompere un circuito elettrico. Per mezzo di un interruttore è possibile attivare e disattivare a proprio piacimento una qualunque utenza elettrica.

Gli interruttori generalmente si comandano per mezzo di una piccola leva, una slitta o un tasto basculante. L'elemento di comando può essere in materiale plastico oppure metallico. In ogni caso, l'elemento di comando è elettricamente isolato dai componenti interni dell'interruttore e il contatto delle dita della mano con esso non costituisce fonte di pericolo.

La funzione di interruzione è generalmente ottenuta per mezzo di due contatti: uno fisso ed uno mobile. Il contatto mobile è azionato dall'elemento di comando di cui sopra. Quando il contatto mobile è separato dal contatto fisso non vi è conduzione di elettricità e la nostra utenza non è attiva. In questo caso, contrariamente alla terminologia idraulica adottata per un rubinetto, si dice che l'interruttore è aperto oppure spento. Quando per effetto dell'elemento di comando il contatto mobile viene congiunto con il contatto fisso, vi è conduzione d'elettricità e l'utenza collegata all'interruttore è attiva. Quando l'interruttore si trova in questa condizione si definisce chiuso o acceso.

Un relè è un particolare tipo di interruttore dove l'elemento di comando è costituito da un elettromagnete in grado di attrarre o rilasciare una piccola leva metallica. La leva metallica, per mezzo di un giunto isolante, è meccanicamente collegata al contatto mobile dell'interruttore. Quando l'elettromagnete viene alimentato con energia elettrica esso attrae l'ancora che a sua volta provoca la chiusura dell'interruttore. Nel momento in cui l'elettromagnete viene disalimentato, l'ancora torna nella sua posizione originale grazie alla presenza di una molla e l'interruttore si apre. Il circuito collegato al contatto di un relè viene detto circuito principale o di potenza. Quello collegato all'elettromagnete di un relè viene designato con la dizione circuito ausiliario o di comando. Molto spesso si indica
l'elettromagnete con il termine "bobina" essendo lo stesso costituito da un nucleo metallico sopra il quale sono avvolti parecchi strati di filo di rame a guisa di bobina.

Per comandare l'elettromagnete di un relè generalmente si utilizza un interruttore azionato manualmente. Ora vi starete chiedendo il perché di tutta questa complicazione. Non sarebbe più semplice utilizzare direttamente l'interruttore per comandare la nostra utenza invece di frapporre un relè che alla fine sarà comunque comandato da un interruttore semplice? La risposta è no, o meglio, non sempre.

Un circuito elettrico è sempre attraversato da una certa quantità di corrente. Questo valore si esprime in ampère, abbreviato A (senza il puntino). Esistono interruttori in grado di sopportare correnti che spaziano da qualche frazione di ampère fino ad alcune migliaia. Maggiore è la corrente che l'interruttore può sopportare, maggiori sono le sue dimensioni e maggiore è la sezione dei cavi che ad esso si collegheranno. Non è sempre possibile collocare interruttori destinati alla gestione di correnti elevate in posizioni a noi comode. Inoltre spesso non è conveniente posare cavi di collegamento di elevata sezione fino al luogo dove sarà installato l'interruttore.

Per fare un esempio pertinente al mondo del fuoristrada, provate a pensare cosa significherebbe posizionare sul cruscotto un interruttore in grado di interrompere una corrente di 400 A a 12 V e cercate di immaginare la grandezza dei conduttori che ad esso si dovrebbero collegare!

In questi casi si ricorre al relè. Quest'utile dispositivo presenta il vantaggio di poter essere collocato strategicamente: vicino alla sorgente di energia oppure in prossimità dell'utenza da alimentare oppure in altro luogo comodo. I conduttori di elevata sezione si collegheranno al contatto di potenza del relè senza dover effettuare percorsi tortuosi od ingombrare spazi preziosi. Il circuito di comando del relè, ovvero l'elettromagnete, potrà essere alimentato con due conduttori di piccola sezione in quanto l'elettromagnete stesso assorbirà una quantità di corrente molto bassa, nell'ordine di alcune decine di millesimi d'ampère. I due piccoli fili potranno essere agevolmente condotti nel luogo dove collocheremo l'interruttore di comando. L'interruttore sarà interessato da una bassissima entità di corrente e perciò presenterà dimensioni ridotte e potrà essere collocato con maggior facilità.

Quanto indicato al paragrafo precedente è solo uno dei vantaggi offerti dai relè. Ve ne sono altri che sarebbe lungo elencare in questa sede. Vi basti per il momento sapere che esistono relè di controllo, relè di potenza, relè di protezione, relè di misura, relè di sgancio, relè di emergenza, relè sotto vuoto, relè con contatti in atmosfera di gas inerte, eccetera. Credetemi, c'è materiale sufficiente per scrivere un libro.

Vorrei ancora precisare che il relè è anche un valido dispositivo per disaccoppiare due circuiti. Quando esiste la necessità di comandare un'utenza che opera ad una tensione X (ad esempio 230 V) con una tensione Y (ad esempio 24 V) si utilizza un relè dotato di una bobina a 24 V. Collegheremo il circuito a 230 V ai contatti del relè e saremo in grado di comandare la nostra utenza con una tensione più bassa (i famosi 24 V) mantenendo i due circuiti separati. Questo può essere utile anche quando non si desidera portare su un interruttore una tensione potenzialmente pericolosa (sebbene l'interruttore sia isolato, vi sono casi in cui è meglio adottare precauzioni supplementari, per esempio in presenza d'umidità).

Aggiungo che esistono relè dotati di contatti multipli: i più comuni sono a due, tre o quattro contatti ma sono disponibili modelli industriali anche a venti contatti. Quando la bobina del relè non è alimentata, i contatti possono essere normalmente aperti (NO) o normalmente chiusi (NC). La combinazione di un contatto normalmente aperto con uno normalmente chiuso assume il nome di deviatore o commutatore (CO). In quest'ultimo caso il contatto NC ha un polo in comune (C) con il contatto NO. In altre parole si hanno due contatti fissi in mezzo ai quali si muove, per effetto dell'elettromagnete, il contatto mobile. Quest'ultimo, alternativamente e mai simultaneamente, può entrare in contatto con uno dei due elementi fissi.


Francesco Mazzitelli

 

 


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